Venerdì Santo/Tre momenti per rivivere il Calvario e adorare l’Amore Crocifisso

Venerdì Santo/Tre momenti per rivivere il Calvario e adorare l’Amore Crocifisso

da L’Ora del Salento

La Commemorazione della Passione del Signore/Luminosa manifestazione del Sacrificio di Cristo.

C’è un giorno dell’anno in cui, per una volta, il centro della liturgia della Chiesa e il suo momento culminante non è l’Eucaristia, ma la croce; cioè non il Sacramento, ma l’evento. È il Venerdì Santo. In esso per antichissima tradizione non si celebra la Messa, ma solo si contempla e si adora il Crocifisso. Pur commemoran­do unitariamente, nella veglia di Pasqua, sia la morte che la risurrezione di Cri­sto, come momenti dell’unico mistero pasquale, la Chiesa ha sentito ben presto il bisogno di dedicare alla memoria della Passione un tempo a parte, per mettere in luce l’inesauribile ricchezza di quel momento in cui “tutto fu compiuto”. Sono nati così, fin dal IV secolo, i riti dell’a­dorazione della croce del Venerdì Santo, destinati a esercitare nei secoli un influsso così determinante sulla fede e la pietà del popolo cristiano. La data del Venerdì San­to è mobile in quanto collegata con la data della Pasqua.

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Essendo la Pasqua celebrata in giorni diversi nella Chiesa cattolica e nella Chiesa ortodossa, anche la data del Venerdì Santo non coincide nelle varie tradizioni ecclesiastiche. In certe Nazioni, come la Germania e la Svizzera (ad ecce­zione del Ticino e Vallese) questo giorno è considerato festivo. Per la Chiesa cattolica, il Venerdì Santo è il giorno della morte di Gesù Cristo, secondo giorno del Triduo Pasquale, che segue il giovedì santo. Come nel Mercoledì delle Ceneri, i fedeli dai 14 anni di età sono invitati all’astinenza dalla carne (sono ammessi uova e latticini), e quelli dai 18 ai 60 anni al digiuno ecclesia­stico, che consiste nel consumare un solo pasto (pranzo o cena) durante la giornata (è ammessa, oltre a questo, una piccola refezione). L’azione liturgica è dominata dalla croce; manifestazione luminosa dell’amore divino spinto alla follia, la croce lascia spazio solo al silenzio e alla contemplazione. L’altare è interamente spoglio: senza croce, senza candelieri e senza tovaglie. Nelle ore pomeridiane di questo giorno, e precisamente verso le ecce­tre – a meno che, per motivi pastorali, non si ritenga opportuno spostare l’orario a più tardi – ha luogo la celebrazione della Passione del Signore. La celebrazione si svolge in tre momenti: Liturgia della Parola, Adorazione della Croce, Comunio­ne eucaristica. Nel disporsi alla celebra­zione del venerdì è bene rinnovare alcune attenzioni generali sugli aspetti celebrativi e sulle condizioni di partenza: si eviti che il luogo della reposizione e dell’adorazio­ne del santissimo Sacramento richiami le caratteristiche del “sepolcro”, perché il Si­gnore che vi dimora non è una salma, ma il Vivente mediante il segno Sacramentale; si curi che questo luogo non costituisca oc­casione di contrasto e di disturbo durante la celebrazione pomeridiana; si delimiti con chiarezza il tempo per la celebrazione della penitenza o riconciliazione sia indivi­duale che comunitaria; si faccia in modo che altri impegni (pulizie e riordino della chiesa, prove di canto e di riti, etc.) non distolgano i singoli fedeli e i gruppi dalla raccolta adorazione e da un indispensabile tempo di meditazione.

IL DIGIUNO E L’ASTINENZA

Il rischio di fare del digiuno un’opera meritoria, una performance ascetica è sempre presente, ma la tradizione biblica ammonisce che esso deve avvenire nel segreto, nell’umiltà (Mt 6,1-18), con uno scopo preciso: la giustizia, la condi­visione, l’amore per Dio e per il prossimo: “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?” (Is 58,6). Così, per ritrovare la propria verità, quella verità umana che con la grazia diventa la verità cristiana, occorre pensare, pregare, condividere i beni, cono­scere il male che ci abita, ma anche digiunare quale disciplina dell’oralità. Il mangiare appartiene al registro del desiderio, deborda la semplice funzione nutritiva per rivestire rilevanti connotazioni affettive e simboliche. L’essere umano in quanto tale non si nutre di solo cibo, ma di parole e gesti scambiati, di relazioni, di amore, cioè di tutto ciò che dà senso alla vita nutrita e sostentata dal cibo. Il mangiare del resto dovrebbe avvenire insieme, in una dimensione di convivialità, di scambio che invece, purtroppo e non a caso, sta a sua volta scomparendo in una società in cui il cibo è ridotto a carburante da assimilare abbondantemente e il più sbrigativamente possibile. Secondo le attuali prescrizione della Chiesa, digiuno e astinenza devono esse­re osservati dai fedeli il Mercoledì delle Ceneri (o il primo venerdì di Quaresima per il rito ambrosiano) e il Venerdì Santo, mentre la sola astinenza è prevista per tutti i venerdì di Quaresima, come del resto per tutti i venerdì dell’anno, salvo quelli coincidenti con una solennità. Chi deve osservare digiuno e astinenza. Sono tenuti ad osservare il digiuno tutti i maggiorenni fino al 60esimo anno d’e­tà, e a praticare l’astinenza tutti coloro che abbiano compiuto i 14 anni, in tutti i casi fatte salve particolari situazioni personali e di salute.

IL TABERNACOLO VUOTO

Il Tabernacolo è una nicchia chiusa in cui viene custodita la pisside con le particole conSacrate e la teca contenente l’Ostia Magna per l’esposizione solenne. Esso rende possibile l’adorazione continua anche al di fuori della Celebrazione Eucaristica. La parola Tabernacolo deriva dal latino “tabernaculum” cioè tenda, il quale deriva a sua volta da “taberna” che vuol signifi­care “cassetta composta da tavole (tabellae) di legno”. Il Tabernacolo rappresenta il cuore vivente e pulsante di ciascuna chiesa. Una chiesa priva della presenza euca­ristica è in qualche maniera morta, anche se spinge alla preghiera. La SS. Eucarestia conservata peren­nemente nelle chiese dà significato perenne al Sacrificio incruento dell’altare. Infatti Cristo, anche successivamente all’offerta del sa­crificio, conservandosi attraverso la Eucarestia nelle chiese, è realmen­te l’Emmanuele, cioè il “Dio con noi”. Giorno e notte rimane tra noi, imprigionato nella sua cella d’amo­re, e ci aspetta ansiosamente per poterci parlare e trasmetterci la sua grazia e l’effusione del suo amore perenne. Requisito fondamentale e da non tralasciare, davanti al tabernacolo, è la lampada liturgica che deve essere rigorosamente e bisogna sottolineare questo voca­bolo, di cera solida o tutto al più di cera liquida.

Carlo Calvaruso

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